Vorrei iniziare chiarendo una cosa. Quando parlo della mia "ansia", non mi riferisco alle paure o alle situazioni che mi rendono nervosa. Non sto parlando di quel tipo d'ansia che tutti provano nel corso della loro esistenza. Sto parlando del disturbo d'ansia generalizzato (DAG), una patologia che interessa quasi tutti gli aspetti della mia vita, volente o nolente.
Forse avrete notato il mio comportamento inquieto: i piani annullati all'ultimo momento, le scuse per restare a casa. Le unghie rosicchiate e i pianti improvvisi. Il respiro corto, l'irrequietezza, la paura delle situazioni nuove, l'impossibilità di frequentare luoghi pubblici da sola e gli attacchi di panico.
Cerco di nascondere le mie difficoltà, ma so che voi le vedete. E le vedete perché vi preoccupate per me e, proprio per questo, spesso cercate di aiutarmi. Mi dite di fare respiri profondi. Mi ripetete che devo calmarmi e smetterla di stare in pensiero. Animati dalle migliori intenzioni, citate la Lettera ai Filippesi 4,6. "Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti". Ci provate davvero ad addolcire i momenti critici. Ma non ha mai funzionato. Nemmeno una volta.
Scrivo questa lettera perché voglio essere chiara con voi. Voglio spiegarvi in cosa consiste la mia ansia e come mi fa sentire, perché dovete sapere che non sto ignorando i vostri consigli. So che può essere dura fare i conti con le mie emozioni, so che la nostra relazione non è di quelle facili. Per questo motivo sento di dovervi una spiegazione.
L'ansia somiglia ad un oceano. Quando colpisce, fatico a restare a galla. È travolgente, in ogni momento mi sembra di essere ad un respiro dall'affogare. È enorme, immensa e si estende molto oltre la mia vista. L'acqua è scura e pesante. E per quanto mi sforzi di combattere tutto questo, il livello continua a salire.
La parola "calmati" mi costringe a lottare contro l'ansia. E l'acqua sale ancora un altro po'.
Dovrebbe essere evidente, ma vi prego di ricordare una cosa: se avessi potuto fermare l'ansia, lo avrei già fatto a quest'ora. Certe sensazioni non sono una mia scelta, non ho chiesto loro di far parte della mia vita. Non sono una vittima ma non sono neanche consenziente, questo è certo. Perciò, vi prego, smettetela di dirmelo. Smettetela con quelle frasi, quelle che lasciano intendere che dovrei essere in grado di controllare l'ansia.
So che volete aiutarmi - altrimenti non stareste leggendo - e vi voglio bene per questo. Ma dovete abbandonare il tentativo di aiutarmi a razionalizzare sentimenti che cerco di capire da tutta la vita. Le paure e le emozioni irrazionali non possono essere comprese. Ma una cosa potete farla: quando l'ansia mi trascina giù, fatemi sapere che riconoscete la mia battaglia anche se non la capite. Pregate per me, ma non chiedetemi di fare altrettanto. Ascoltatemi, ma non mi offrite soluzioni "facili". Soprattutto, sappiate che non spetta a voi rimettermi in sesto e far sparire l'ansia. Voglio che siate miei amici, non i miei analisti. Non pretenderei mai niente del genere da voi.
Vorrei che non subiste tutto questo. Ed è ironico che la pensiate allo stesso modo, quando si parla di me. Si tratta di un percorso di conoscenza condiviso. Prometto che cercherò sempre di trovare nuovi modi per gestire l'ansia. In cambio, vi chiedo solo di essere miei amici. Sono le amicizie come la nostra a tenermi ancora a galla. E questo significa tutto per me.
Grazie, la vostra amica.
Questo post è stato pubblicato su HuffPostUsa ed è stato tradotto da Milena Sanfilippo, fonte: http://www.huffingtonpost.it/the-mighty/lettera-a-chi-subisce-le-conseguenze-della-mia-ansia-_b_14629022.html?ref=fbpr
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