Qualche tempo fa ho visto un film della regista Comencini che mi ha molto colpito e che si intitola “Lo spazio bianco”, tratto dall’omonimo romanzo di V. Parella. Narra le vicende di una donna, Maria, interpretata da Margherita Buy, che rimane incinta e che decide di portare avanti la gravidanza, nonostante l’opposizione del partner e la fine della relazione.
Purtroppo la donna viene ricoverata d’urgenza al sesto mese di gravidanza e la bambina viene fatta nascere. La donna vivrà in bilico tra la vita e la morte, tra gioia e dolore, tra colpa e ostinazione per diversi mesi nell’attesa che la sua bimba cominci a vivere.
Quali sentimenti provano le mamme che guardano i propri figli attraverso un’incubatrice? È un misto di sentimenti, da una parte la felicità legata alla sopravvivenza del figlio, dall’altra la colpa e l’angoscia. Il sogno di tutte le donne è di far nascere un bambino sano e felice, di trasformansi in un buon contenitore dello sviluppo del proprio bambino, prima embrione e poi feto.
Quando qualcosa non va e i medici devono intervenire, la mamma si sente violata e ferita nella propria identità, come se quel contenitore si fosse improvvisamente rotto e fosse stato sostituito forzatamente con un altro, meno caldo ma più capace, più resistente. Nascono così dei profondi sentimenti di rabbia nei propri confronti, per un insuccesso personale che brucia e destabilizza. La domanda ricorrente è: “perché le altre ci riescono ed io no?”.
La nascita prematura di un figlio causa la concretizzazione delle forti angosce di morte che fanno parte del ciclo della vita e in particolare delle donne in attesa, ma che solo i genitori dei prematuri vivono in maniera così reale, domandandosi che cosa riserverà il domani, senza sapere se e come il proprio figlio sopravviverà.
In un clima di completa indeterminazione possono nascere dei sentimenti di colpa. La colpa può essere collegata a proprie mancanze, magari ci si può ripetere “avrei potuto fare..”. Ma sono soprattutto i pensieri legati alle condizioni di salute del proprio bimbo nell’incubatrice, che possono suscitare le colpe più primitive e profonde, è quel pensiero “forse sarebbe meglio che..”
Il tempo che intercorre tra l’intervento medico e la dimissione del piccolo è vissuto come una sospensione, una fusione tra realtà e fantasia, un insieme di sentimenti positivi e negativi.
In tali situazioni risulta fondamentale che la coppia e soprattutto la mamma siano supportate dalla rete familiare e amicale, che possano trovare qualcuno con cui sfogarsi e raccontare ogni fantasia, senza sentirsi giudicati e etichettati. Risulta fondamentale per i genitori avere la possibilità di appoggiarsi psicologicamente nell’attesa che il proprio bambino “nasca”.
Dott.ssa Manuela Vecera