Non puoi chiamarlo errore. Poche parole scritte accanto alla foto di un neonato rannicchiato su un letto d’ospedale. Un messaggio che Lavinia, dalla sua pagina facebook, sembra gridare al mondo.
Quel fagottino ora dorme beatamente accanto a lei mentre, appoggiata al tavolino di un bar, sorseggia una tisana. «Sono passata dal fast food ai brodini». Ride. Rompe il ghiaccio prima di iniziare a raccontare di Eleonora, «la creatura che mi ha cambiato la vita – dice – che mi insegna ogni giorno ad essere una mamma migliore». Una bambina di cinquanta giorni che non sarebbe mai nata, se Lavinia non avesse fatto di testa sua, se non l’avessero aiutata le volontarie del Cav ardeatino, nella Capitale.
Ha lottato contro tutti per avere quel bimbo arrivato per caso, dopo anni di fidanzamento con Elton, un giovane capoverdiano che lavora al mercato per 600 euro al mese. Un amore contrastato soprattutto dalla sua famiglia, che voleva farla abortire per salvare le apparenze e che ora le ha tolto ogni benefit.
Niente macchina, niente aiuto per pagare il mutuo della casa alla periferia sud di Roma. «Spero un giorno di poter far conoscere Eleonora ai miei nonni. Sarei pronta a perdonarli». È la mano tesa che Lavinia porge da sempre, che l’ha fatta riavvicinare a sua madre, «all’inizio molto contrariata sulla gravidanza», e persino a suo padre che quattro anni fa è tornato nel suo Paese, la Germania. Un’infanzia difficile la sua, con un papà alcolizzato e una mamma che ha «sempre fatto rinunce per tenere unita la famiglia». Eleonora è il suo riscatto con la vita. «Tenere Ele è la prima scelta che faccio da sola», ripete. Studiava con le amiche per la maturità linguistica quando, tra i compiti di inglese e matematica, il suo pomeriggio si è fermato davanti a un test di gravidanza positivo. «Non realizzi subito come la tua vita cambierà», il viso fresco di ventenne le s’illumina, quando si volta a guardare quell’angelo che sgambetta appena sveglio nella tutina rosa e gialla. «Ho messo per iscritto cosa potevo dargli, a quante esperienze di adolescente avrei rinunciato». Poi la decisione: «Non si può buttare una vita come si fa con la spazzatura. Non importa cosa perderò». Mentre le sue coetanee avrebbero pensano a divertirsi, lei avrebbe affrontato l’ignoto della maternità.
La paura ti taglia il fiato, l’esser sola ti piega le ginocchia, ma c’è «una forza dentro che ti dà coraggio per andare avanti». Ha lasciato senza parole anche la commissione d’esame che a luglio, dopo un iniziale abbandono scolastico, l’ha licenziata con ottimi voti.
«Hanno fatto mezzi sorrisi quando alla domanda sui miei progetti futuri ho risposto che avrei fatto la mamma». Ci pensa all’università, ma adesso deve trovare un lavoro, magari come traduttrice, per poter andare a vivere da sola con Elton. «Non si può pesare per sempre sulle spalle altrui». Si fa seria. Eleonora l’ha cambiata, le ha fatto capire i sacrifici che una donna fa per «dare un futuro migliore ai figli», l’amore di sua madre nel riaccoglierla in casa e «aiutarla, perché non sai proprio da dove cominciare con un neonato». Quando vedi questo « dono » – conclude – comprendi che non tieni «un figlio per compassione o per non avere. Quando vedi questo «dono» – conclude – comprendi che non tieni «un figlio per compassione o per non avere rimorso », vai persino oltre i giudizi degli altri, «perché tu hai scelto la vita e combatti ogni giorno per lei».