Nel momento in cui il marito viene a mancare la situazione di queste donne degenera ancora di più. Non essendo necessarie alla comunità hanno due possibilità: sposare un cognato o chiudersi a vita nell’ashram. Molte muoiono a causa di strani incidenti domestici, altre finiscono con il prostituirsi o a cercare l’elemosina. Tutto questo è reso possibile da una società che considera la donna inutile e che mette al primo posto una bestia da soma piuttosto che la propria figlia. Molte donne una volta partorito uccidono le femmine perché non porteranno lustro alla famiglia ma saranno solamente fardelli da sfamare.
Questo quadro per indicare in linea generale quando sia stato difficile per Bibi vivere sette anni al fianco di un uomo che la schiacciava moralmente e fisicamente, infischiandosene dei suoi desideri, delle sue aspettative. Ancora più grave è la consapevolezza che Bibi guardandosi intorno notava soltanto che buona parte di quella società la pensava come suo marito e che se la sua condizione dipendeva proprio dalle scelte fatte dai suoi genitori mai ne sarebbe potuta uscire. Eppure Bibi ha avuto fede e coraggio.
Il suo volto adesso è quello di una giovane donna che potrà affrontare il futuro guardando negli occhi chi ha di fronte senza quella suggestione che caratterizza le donne violate. La sua storia altro non è che un esempio a chi crede di non poter uscire dalla propria prigione e pensa che l’unica realtà possibile sia quella. Bibi Aisha è l’esempio che anche se ci viene inculcato da piccoli la sottomissione, il desiderio di libertà, la necessità di esistere va contro ogni regola sociale e religiosa soprattutto se queste sono state create a arte per distruggere.